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No Pain No Gain nelle Arti Marziali: un fraintendimento comune

  • Immagine del redattore: Rebel Dragon
    Rebel Dragon
  • 13 nov
  • Tempo di lettura: 3 min

Nel mondo del fitness si sente spesso ripetere il motto “no pain, no gain” — senza dolore non c’è crescita. Questo concetto è stato riproposto anche nel mondo delle arti marziali. È una frase che, se presa nel giusto contesto, contiene una verità importante: il miglioramento passa inevitabilmente attraverso la fatica, la costanza e la capacità di superare i propri limiti.

Eppure, se male interpretata, può trasformarsi in una trappola: una giustificazione per l’eccesso, per l’ego o per l’idea che solo chi soffre “meriti” di progredire.



Il Valore Autentico della Fatica


Allenarsi duramente è parte della via marziale. Il corpo va temprato, la mente resa stabile, la volontà affinata. Ogni praticante serio lo sa: non si cresce rimanendo nella zona di comfort. Ma la fatica è una cosa, la sofferenza inutile un’altra. Quando il dolore diventa un obiettivo, quando la disciplina si trasforma in punizione, si perde completamente il senso della pratica.

La vera forza marziale nasce dall’equilibrio, non dalla tensione. Un corpo stanco ma consapevole sa adattarsi; un corpo stanco e irrigidito si rompe. Lo stesso vale per la mente: un allenamento che costruisce forza interiore non è quello che logora, ma quello che aiuta a conoscersi e a comprendere i propri limiti.



Ego e Confronto: il Vero Ostacolo alla Crescita



Il rischio più grande per chi pratica — e ancor di più per chi insegna — è lasciarsi trascinare dal confronto. Quando il motto “no pain, no gain” viene interpretato come misura del valore personale, la fatica smette di essere strumento di crescita e diventa esibizione. Così l’allenamento si trasforma in uno spettacolo: una corsa a chi resiste di più, a chi ottiene risultati più visibili o a chi “vince di più”, smarrendo il senso originario della pratica.

L’ego può manifestarsi in molti modi: nel Maestro che misura il valore dei suoi allievi solo in base alla performance — o, peggio, al risultato — e nell’allievo che si allena per dimostrare qualcosa a qualcuno. In entrambi i casi, l’attenzione si sposta dall’interno verso l’esterno: dall’essere al mostrare.

Le competizioni, ad esempio, possono essere strumenti preziosi di crescita, ma diventano dannose quando si trasformano nell’unico obiettivo. I praticanti più esperti dovrebbero ricordare che la gara non può diventare il fine dell’allenamento, così come gli studenti — soprattutto i più giovani — non dovrebbero essere usati per alimentare la reputazione di una scuola o del Maestro. Devono invece essere accompagnati in un percorso che li aiuti a crescere come individui. Le gare possono insegnare disciplina, autocontrollo e rispetto — ma solo se vissute come parte di un cammino, non come scopo finale.

Forse, ogni tanto, anche chi insegna dovrebbe fermarsi e guardarsi allo specchio. Non per giudicarsi, ma per chiedersi se sta davvero formando praticanti consapevoli o solo costruendo risultati da esibire. Ritrovare il senso originario dell’insegnamento marziale significa tornare a mettere la crescita umana del praticante al centro, non l’immagine della scuola o del Maestro. Questo semplice atto di introspezione può riportare equilibrio, umiltà e autenticità nella pratica quotidiana.



La Via della Consapevolezza


Allenarsi con dedizione, sì — ma con consapevolezza. Accettare la fatica, ma non idolatrare la sofferenza. Capire che il dolore, quando arriva, può insegnare qualcosa ma non è la misura del valore di una persona.

Ogni praticante ha il proprio ritmo, la propria storia, il proprio modo di crescere. Forzare questo processo in nome di uno slogan o di un risultato non è saggezza, ma superficialità.

Nella tradizione Shaolin si insegna che la vera vittoria è sulla propria ignoranza, non sull’avversario. E questo richiede umiltà, ascolto ed equilibrio.



Conclusione: il Vero Significato del Kung Fu



Forse dovremmo tornare a ricordare che il Kung Fu, nella sua essenza, significa abilità raggiunta attraverso la pratica nel tempo. Non attraverso il dolore, né attraverso il confronto.

La via marziale è un cammino lungo, e ogni passo — faticoso o leggero che sia — ha valore se fatto con consapevolezza.

Diego Bianchi

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